Grazie alle macchine, oggi è possibile praticare interventi chirurgici che una volta erano molto più complessi e pericolosi. Ed è probabile che in futuro questi saranno sempre più eseguiti attraverso il supporto dei robot che offriranno ai medici più precisione e più efficienza. Ma ci sarebbero anche alcuni aspetti tecnici che non andrebbero sottovalutati e che, se non affrontati con le dovute attenzioni, potrebbero procurare qualche problema al lavoro medico e quindi anche ai pazienti. Vediamo allora quali sono i pro e i contro della telechirurgia.
Il supporto della chirurgia robotica
Alcune operazioni chirurgiche avvengono già grazie al controllo di un robot. L'urologo Ashutosh Tewari ad esempio, che lavora al Mount Sinai Hospital di New York, esegue interventi di rimozione della prostata cancerosa servendosi proprio delle capacità di un robot. Può guidare le braccia del robot a distanza di 3 metri ricevendo anche un feedback tattile; il suo software è così sofisticato che corregge il lieve tremolio della mano del chirurgo e una videocamera permette di zoomare verso l'area di intervento per consentirgli una visione migliore.
I vantaggi per un chirurgo sono evidenti, ma anche i pazienti traggono diversi benefici. Particolari strumenti robotici, infatti, consentono a Tewari di suturare le incisioni risparmiando il tessuto sano dei pazienti. Un altro grande vantaggio lo si è riscontrato nei tempi di recupero dei pazienti che hanno subito un intervento alla prostata, come conferma lo stesso dottor Tewari: da 4 giorni a 1 o massimo 2.
Insomma, gli interventi chirurgici effettuati con i robot procurano diversi benefici sia ai medici sia ai pazienti e alcuni dati possono confermarlo. L'anno scorso, l'86% degli americani ha avuto un intervento robotico per il cancro alla prostata senza riscontrare problemi. Oltre che per la prostatectomia, questi robot chirurghi possono operare anche su cuore, reni, cistifellea e ovaie. Nel 2012 invece, secondo il Wall Street Journal, sono state condotte 450.000 operazioni chirurgiche con l'aiuto di un robot. È quindi plausibile che con il miglioramento della tecnologia saremo in grado di effettuare ulteriori interventi anche di diverso tipo.
Eppure siamo solo all'inizio. Si tratta piuttosto del controllo di un robot e non di un robot che esegue autonomamente un intervento chirurgico. Forse un giorno, chissà... Ma il prossimo passo potrebbe essere quello di riuscire ad operare anche a km di distanza. Se il dottor Tewari ha operato da una postazione a 3 metri dal paziente, in futuro sarà forse possibile eseguire operazioni di telechirurgia attraverso internet dove i chirurghi e il paziente si troveranno in città diverse, anche molto lontane tra loro.
Impossibile? Nel 2001 c'è stata una dimostrazione di chirurgia da remoto molto interessante che fu chiamata "Lindbergh operation": un chirurgo situato a New York ha controllato un robot per rimuovere la cistifellea a un paziente che si trovava in Francia, precisamente a Strasburgo. Operazione riuscita a più di 6.000 km di distanza! Da allora gli scienziati hanno iniziato a lavorare per migliorare questi sistemi e negli ultimi anni sono stati fatti diversi progressi. Alcuni scienziati, ad esempio, hanno permesso a dei disabili di controllare con il pensiero un robot situato a centinaia di km di distanza rispetto alla loro posizione attraverso un sistema di telepresenza e un'interfaccia cervello-computer.
Sono dei risultati sorprendenti, eppure a distanza di 15 anni queste piattaforme e questi robot non vengono ancora utilizzati al di fuori dei contesti sperimentali. Infatti, esistono ancora delle sfide tecniche che devono essere superate per poterli adottare serenamente. Alcuni esperti sono ottimisti e sostengono che sia solo una questione di tempo: prima o poi i chirurghi riusciranno ad operare a distanza senza complicazioni. Ma prima bisogna risolvere tutti quei problemi relativi alla cybersicurezza, alla velocità di connessione alla rete e agli aspetti legali. Diamo un'occhiata più nel dettaglio.
Ostacoli: prezzo, velocità di connessione e vulnerabilità
Uno dei problemi principali che ostacola l'adozione negli ospedali di sistemi robotici per la chirurgia è sicuramente il prezzo. Il presidente di ProtoStar Engineering, Grant Schaffner, che è stato uno dei primi ad interessarsi all'applicazione degli strumenti di chirurgia robotica per gli astronauti, ha dichiarato: "La tecnologia è già qui, ma il costo deve scendere, o gli utenti finali avranno bisogno di trovare le risorse finanziare da investire.". Per alcuni ospedali non è un problema investire in queste tecnologie, per altri invece sì. Un robot chirurgo come quello adottato dal dottor Ashutosh Tewari, ad esempio, costa sui 2 milioni di dollari.
Ma consideriamo il caso in cui molti ospedali potessero permetterselo: i problemi non finiscono mica qui. Il sistema robotico deve appoggiarsi su una solida infrastruttura di rete. Se la larghezza di banda non è abbastanza efficiente per trasmettere l'enorme quantità di dati che viaggiano dal chirurgo al robot e viceversa, allora le conseguenze sono disastrose. Secondo Blake Hannaford, uno dei creatori del robot per la telechirurgia chiamato RAVEN, lo streaming video non compresso richiede una larghezza di banda di almeno 2 megabit al secondo (meno di quelli necessari per lo streaming in HD di un video su YouTube) e gli esperti non sanno ancora con sicurezza quale tipo di risoluzione sia necessaria per queste operazioni. Negli ospedali con rete internet privata veloce c'è qualche possibilità, ma nelle aree rurali con infrastrutture scarse o reti condivise è praticamente impossibile.
Paradossalmente, un altro problema riguarda proprio la distanza tra il chirurgo e il paziente. Più la distanza è consistente e più è facile che ci sia uno scarto di tempo tra il comando del chirurgo e la sua esecuzione da parte del robot. Lo scorso anno, alcuni ricercatori hanno fatto un esperimento proprio per misurare il tempo di scarto necessario ad ostacolare l'intervento di un chirurgo. 20 chirurghi hanno svolto 4 diverse attività con uno strumento di chirurgia robotica da esercitazione; un software ha monitorato le loro azioni, ma ha anche aggiunto un ritardo casuale nello strumento robotico compreso tra i 100 e i 1.000 millisecondi. I ricercatori hanno scoperto che i chirurghi non si rendevano conto del tempo di scarto se questo risultava essere inferiore 250 millisecondi. Oltre questa soglia, invece, la loro prestazione cominciava a calare.
L'ultimo grande problema riguarda tutti i settori che sfruttano internet per le loro attività: un dispositivo connesso è un dispositivo vulnerabile. Per dimostrare quanto sia digitalmente perforabile un sistema robotico di questo tipo, il professore Howard Chizeck ha condotto un interessante esperimento insieme a una squadra di ingegneri elettrotecnici. Lo scopo era trovare diversi modi per hackerare lo strumento robotico di chirurgia chiamato RAVEN II che è stato collegato a un hub di rete centrale insieme a un'altra macchina. Il compito di quest'ultima era di modificare o interrompere le comunicazioni tra uno studente-chirurgo e lo strumento robotico. I ricercatori hanno scritto righe di codice per ritardare le informazioni o per sostituire quelle inviate dal chirurgo. Risultato: il più delle volte il "chirurgo" non si è accorto che il sistema robotico non eseguiva i comandi come in realtà avrebbe dovuto.
E questo è un grosso problema perché tali malfunzionamenti possono essere molto pericolosi per i pazienti. Un hacker, o meglio un cracker, potrebbe intrufolarsi nel sistema e controllare il robot a proprio piacimento o fermare il suo funzionamento durante un intervento. Rafforzare la sicurezza digitale diventa dunque non solo una sfida difficile, ma anche essenziale. L'anno scorso 5 compagnie di assicurazione sanitaria sono state hackerate mettendo a rischio la privacy di 100 milioni di persone. Ecco perché secondo Chizeck e i suoi colleghi la crittografia dei dati è fondamentale per proteggere la comunicazione tra il chirurgo e il robot.
Un altro modo per aumentare la sicurezza del dispositivo robotico potrebbe essere quello di dotarlo di un software di riconoscimento dei movimenti: ogni chirurgo, infatti, avrà un modo diverso di gestire i controlli e il robot potrebbe identificarlo e quindi utilizzarlo come chiave di sicurezza. Magari i robot chirurghi del futuro potranno essere programmati per continuare determinati interventi nonostante l'attacco di un cracker e nel frattempo segnalare la falla ai medici.
Questi sistemi di sicurezza dovrebbero essere studiati a partire dalla progettazione dei robot, come sostiene anche Stephen Wu, procuratore specializzato in sicurezza informatica: "Idealmente, [la sicurezza digitale] dovrebbe iniziare dalla fase di progettazione del prodotto, all'inizio della concettualizzazione. Ma questo non significa che succede sempre così.". Per ora non ci sono stati incidenti di hackeraggio proprio perché, al momento, le applicazioni di telechirurgia sono limitate all'ambito sperimentale. Ma dovremmo iniziare a preoccuparci già da ora se non vogliamo ritrovarci con robot chirurghi vulnerabili e pericolosi.
Uno sguardo al futuro della telechirurgia
Gli svantaggi che abbiamo visto finora derivano perlopiù dal fatto che siamo in una fase iniziale della progettazione di questi tipi di robot: ci stiamo muovendo in un'area non del tutto nuova, ma comunque inesplorata, soprattutto dal punto di vista legale. Ma forse possiamo essere ottimisti per il futuro. Sempre più produttori manifestano la volontà di investire nel settore della chirurgia robotica; di conseguenza i prezzi diminuiranno, permettendo così agli ospedali di accedere alle attrezzature della telechirurgia. La velocità di connessione migliorerà: internet è ogni anno più veloce e questo ci permetterà di costruire delle infrastrutture di rete adeguate.
Volendo essere ancora più ambiziosi, in un futuro più lontano potremo contare su dei robot chirurghi autonomi, ovvero su delle macchine che non richiederanno il controllo umano durante gli interventi. Grant Schaffner, quando era professore di ingegneria aerospaziale presso l'Università di Cincinnati, stava lavorando a un progetto sulla telechirurgia per gli astronauti. Ma il problema era proprio lo scarto di tempo tra l'invio del comando al robot e la sua esecuzione, troppo eccessivo per condurre un'operazione chirurgica. E quindi si chiese: e se addestrassimo i robot in modo da farli operare in modo autonomo? Un'idea non assurda considerando che nel 2013 alcuni ricercatori hanno creato un robot in grado di rimuovere il tessuto di una paziente per una biopsia.
Per ora l'intelligenza artificiale (IA) non è abbastanza progredita per consentire a un robot di fare operazioni chirurgiche senza l'ausilio dei medici. Schaffner ha detto: "Le persone sono appiccicaticce, gli organi si muovono un po', e un robot ha bisogno di essere abbastanza intelligente per fare degli aggiustamenti al volo.". Entro l'estate del 2016, lui e il suo team sperano di condurre un primo vero test con un robot autonomo in grado di impiantare un apparecchio acustico nell'orecchio di un cadavere. La sua previsione è che, con più soldi nella ricerca e con un processo di approvazione accelerato da parte dell'FDA (Food and Drug Administration), tra 10 o 20 anni i robot potranno eseguire biopsie, prostatectomie e appendicectomie.
Significa che la robotica e l'IA stanno crescendo e continueranno a crescere. Presto avremo anche robot radiologi in grado di effettuare diagnosi e robot sempre più precisi che forniranno un supporto prezioso ai chirurghi. Intanto, durante questo progresso tecnologico, dovremo continuare a porci alcuni interrogativi riguardo gli ostacoli tecnici e legali che abbiamo visto prima. Solo così otterremo grandi risultati per i medici e per i pazienti. Gli obiettivi saranno rendere la distanza nella telechirurgia non più un intralcio, sia dal punto di vista tecnico sia dal punto di vista umano, ovvero per ciò che riguarda il rapporto tra chirurgo e paziente.
Concludo con il pensiero espresso dal chirurgo Tewari dopo aver eseguito un intervento alla prostata su un paziente:
"Dal mio punto di vista, il paziente ha un cancro, e [il robot] mi dà un vantaggio nel rimuoverlo. Uso il robot, che mi tiene un po' distante, ma sono comunque connesso con i miei pazienti. È umano, ed è personale."